Michael Getman
PASSION IS A LONELY HUNTER
Prova aperta al pubblico del nuovo lavoro di Michael Getman
concept e coreografia Michael Getman
assistente alla coreografia Niv Marinberg
drammaturgia Yael Venezia
performer Matan Cohen, Ori Mbazbaz, Busmat Nossan, Evyatar Omessy
disegno luci Nadav Barnea
musica Bach first piano concerto in D minor, Luciano Berio Sinfonia Section 3
sound originale e sound design Michael Getman
costumi Omri Alvo
grafica Laetitia Boulud
linguaggio e parole Yair Sherman
groove e beat Tamir Grinberg
consulenza letteraria Dana Mills
fonti lacaniane Istituto Dor-a-Lacan
produzione Shahar Sarit Sharashov
assistente alla produzione Hila Kahiri
management e distribuzione Gloria De Angeli
Il progetto è parte del programma di residenze artistiche del Suzanne Dellal Centre
il progetto è supportato da Armunia/Inequilibrio Festival, Rabinovich Foundation - Hapais Council for the Culture and Arts
Debutto: Agosto 2025, Dance Festival, Suzanne Dellal Centre.
danza - durata 55'
Negli anni Novanta, dopo la caduta dell'Unione Sovietica, le guerre sono diventate culturali. La destra ha dato la colpa al relativismo morale, mentre la sinistra si è fissata sulla correttezza politica. Il dibattito autentico è crollato nel nulla. Il fondamentalismo religioso ha riempito questo vuoto, offrendo un impegno appassionato e un ritorno alle guerre religiose, ognuna delle quali crede nella sua unica verità. (Michael Getman)
Un gruppo di danzatori, protagonisti, avanzano e si incontrano sul palco con un battito di mani. Mentre il primo concerto per pianoforte e orchestra in re minore di Bach suona in sottofondo, il loro battere le mani accoglie e onora ciò che sta alla base della nostra esperienza umana: la Cosa in sé, il troppo reale, che sta nell'incontro mancato tra ciò che viene detto e ciò che è, un incontro mancato che lascia la promessa del desiderio, la minaccia del panico o la promessa del godimento supremo e del terrore.
Tutto avviene come se, nella nostra cultura, la vita fosse ciò che non può essere definito. Eppure, proprio per questo, deve essere incessantemente articolata, divisa e celebrata. Le istruzioni per il viaggio sono scritte su uno spartito in una trama sul palcoscenico. Non resta che seguire le parole, i segni e i segnali. Momento dopo momento, il paesaggio diventa un cimitero pieno di parole, suoni ed enunciati: voci di tempi antichi che attraversano il presente fino a un vuoto futuristico. Nel tentativo di creare un nome o un simbolo, essi attraversano una rete di idee e costituiscono un flusso di significati poetici. I significanti corporali, culturali, storici e politici si ritrovano sempre e solo nella proiezione verso un punto di scomparsa, una solidità che il linguaggio e le rappresentazioni simboliche non possono cogliere.